Quello che segue è un estratto dall’articolo “Una rigenerazione dell’umanesimo” de Il Sole 24 Ore (Mauro Ceruti e Edgar Morin, 13 ottobre 2019)

“L’umano è, nello stesso tempo, individuo, parte della specie umana e parte di una società.
Ciascuno dei termini di questa trinità è all’interno degli altri, ciascuno non è solo prodotto ma anche produttore degli altri.

Da qui deriva una prima conseguenza per ogni politica umanista: essa non può ridurre l’umano o alla sola società o alla sola specie o al solo individuo.
La seconda conseguenza è etica.
Certo, l’individuo è tenuto a una morale di diritti e doveri verso la società. E la società è tenuta a rispettare i diritti e le libertà individuali. Ma oggi, poiché siamo nell’era planetaria della mondializzazione in cui tutta l’umanità è interdipendente e in comunità di destino, abbiamo anche dei doveri rispetto all’umanità.
Questa ultima etica è sottosviluppata, vittima della chiusura delle etiche comunitarie.

L’essere umano, come individuo, è comunemente definito, dopo Carl Von Linné, come homo sapiens per la ragione, faber per la tecnica, e dopo Adam Smith come homo economicus per l’interesse personale.
Anche in questo caso, dobbiamo uscire dalle nozioni riduttrici e parziali.

Non bisogna dimenticare che homo sapiens è anche homo demens: la follia, il delirio, la dismisura costituiscono una possibilità permanente dell’essere umano. La nostra epoca conosce il delirio di fanatismi che si moltiplicano, la follia delle illusioni che si credono razionali, gli accecamenti di una razionalità puramente tecnica ed economica che ignora le realtà profonde dell’umano.
È su questi fronti apparentemente antagonisti, ma complementari nella propagazione di un’immensa coltre accecante, che una coscienza umanista deve essere più che mai vigilante e militante.
Homo faber domina il pianeta con la tecnica, e nello stesso tempo è dominato da questa tecnica. Non si può ridurre l’essenziale di homo a homo faber. Questo è una polarità.
L’altra è homo imaginarius, che produce sogni nel sonno e nella veglia, fantasmi, miti e
religioni.
La missione dell’umanesimo è dunque di reagire contro la concezione contemporanea dominante che sostiene che ogni soluzione è di natura tecnica e che ignora l’importanza antropologica dell’immaginario, del mito, della religione.

Homo economicus è mosso dal suo interesse personale. Ed è vero che nella nostra civiltà l’interesse personale guida sempre di più un grandissimo numero di comportamenti, mentre c’è una diminuzione delle relazioni di gratuità e di solidarietà.
Homo economicus è stato considerato come un avatar di homo sapiens, perché considerato agire razionalmente per massimizzare le sue soddisfazioni.
Dubitiamo di questa razionalità.
Sappiamo quanto l’errore e l’illusione possano pervertire una decisione o un’azione. Sappiamo che il massimo di soddisfazioni economiche può sfociare in una insoddisfazione profonda.
Inoltre, non basta mettere in discussione la razionalità dell’uomo economicus.
Bisogna anche considerare che homo economicus, benché ipertrofizzato nella nostra civiltà contemporanea, non è che una polarità dell’umano.
L’altra è homo ludens.
L’umanesimo deve dunque concepire la complessità straordinaria dell’essere umano, che si è trovata disintegrata nelle visioni unilaterali. Queste visioni unilaterali sono pervertite da una riduzione di ciò che è umano a un’apparente razionalità (della mente, della tecnica, dell’interesse) e dimenticano le realtà profonde dell’umano, che sono affettive, esistenziali.
Una volta stabilita la concezione complessa dell’umano, si può rifondare l’umanesimo.”

“Si deve innanzitutto riaffermare il primo principio umanista, che è il riconoscimento di ogni essere umano, chiunque sia, da ovunque venga, nella sua piena umanità.
Oggi, dobbiamo fare di questo principio un principio universale concreto. (…)
E poi bisogna rigenerare l’aspirazione del Rinascimento, che era quella di collegare le conoscenze sull’umano con le conoscenze sulla vita e sull’universo.
La razionalità complessa [quella che oggi dobbiamo coltivare] collega le conoscenze, collega ciò che è umano alla vita, alla natura, al pianeta, all’universo.
Ciò costituisce lo zoccolo cognitivo dell’umanesimo rigenerato, [per il quale] la fede nel progresso deve essere non più un futuro promesso, ma un futuro di possibilità.
In questo senso, l’umanesimo deve proporsi di proseguire l’ominizzazione in umanizzazione.
L’umanesimo oggi non può che essere un umanesimo planetario.
L’umanesimo precedente portava in sé un universalismo potenziale.
Ma non c’era allora quella interdipendenza concreta fra tutti gli umani, divenuta comunità di destino, che è creata dalla mondializzazione.
Poiché l’umanità è ormai minacciata da pericoli mortali (…) la vita della specie umana e, inseparabilmente, la vita della biosfera diventano un valore primario, un imperativo prioritario. L’umanesimo divenuto planetario richiede che solidarietà e responsabilità, senza cessare di esercitarsi nelle comunità esistenti, siano estese alla comunità di destino planetaria. La presa di coscienza della comunità di destino terrestre deve essere l’evento chiave del nostro secolo. Siamo solidali in questo pianeta e con questo pianeta.
Siamo esseri antropo-bio-fisici, figli di questo pianeta, che è la nostra Terra-Patria.”