CULTURAL HUMILITY – Il contributo del Presidente di G.Ri.Fo Counselling Dott. Marco Lolli
Il termine Cultural Humility è stato introdotto nel 1998 come un processo dinamico e duraturo incentrato sull’autoriflessione e sulla critica personale per riconoscere i propri pregiudizi.
Melanie Tervalon e Jann Murray-García, nel 1998 scrivono per il Journal of Health Care for the Poor and Underserved che «l’umiltà culturale implica un impegno duraturo nell’autovalutazione e nella critica, nel correggere gli squilibri di potere nella dinamica medico-paziente e nello sviluppare partnership reciprocamente vantaggiose e non paternalistiche con le comunità a favore di individui e popolazioni definite».
Approfondire la teoria dell’umiltà culturale allarga il proprio orizzonte e aiuta ad osservare da molteplici punti di vista la situazione concreta, ed enfatizza giorno dopo giorno il valore dell’agire e del pensare con umiltà. Questo significa essere flessibile, aperto al confronto, al dialogo con l’altro e con la sua identità culturale, stimolando un consapevole ascolto di sé stessi e dell’altro. Al fine di sviluppare plurime capacità per interagire consapevolmente con persone di culture diverse.
L’umiltà culturale implica la comprensione della complessità delle identità, ovvero che anche nell’uguaglianza c’è differenza, e che un medico non sarà mai pienamente competente riguardo alla natura dinamica e in evoluzione delle esperienze di un paziente. È importante saper riconoscere la natura mutevole delle identità intersecanti e incoraggiare una curiosità continua piuttosto che un punto di arrivo
Partiamo dal concetto di cultura che è abbastanza complesso e molte sono le definizioni che negli anni si sono susseguite. L’antropologo britannico Taylor la definisce come «l’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società»
Keesing e Strathern (1998), invece, sostengono che la cultura non è solo un insieme di cose ed eventi direttamente osservabili, numerabili e misurabili, bensì consiste in un insieme di idee e significati: «Culture comprise systems of shared ideas, systems of concepts and rules and meanings that underlie and are expressed in the ways that humans live».
In questo senso, si potrebbe affermare che la cultura non è un concetto né statico né omogeneo, ma in continuo mutamento, in quanto espressione dell’identità di numerosi individui che si muovono all’interno di molteplici sistemi. Come scrive Helman: «Culture is an increasingly fluid concept, which in most societies is undergoing a constant process of change and adaptation». La maggior parte delle società complesse, infatti, è spesso composta da un insieme variegato di differenti subculture nelle quali coesistono, talvolta a disagio, differenti visioni del mondo. Diventa allora centrale guardare alla cultura come a un concetto dinamico, soggetto alle influenze del tempo e di numerosi altri fattori.
Come sviluppare l’umiltà culturale?
Alla base, il termine significa aprire una conversazione in un modo che tenti genuinamente di comprendere le identità di una persona in relazione a razza ed etnia, genere, orientamento sessuale, stato socioeconomico, istruzione, bisogni sociali e altro. Una consapevolezza di sé è fondamentale per la nozione di umiltà culturale: chi è una persona informa il modo in cui vede un’altra. La consapevolezza può derivare da domande autoriflessive come:
- Di quali parti della mia identità sono consapevole?
- Quali sono le più salienti?
- Quali parti della mia identità sono privilegiate e/o emarginate?
- Come cambia il mio senso di identità in base al contesto e alle impostazioni?
- Quali sono le parti su cui le persone proiettano? E quali parti sono ben accolte, da chi?
- Con questa consapevolezza, un terapeuta può porsi domande su come riceve il paziente: chi è questa persona e come la capisco? Quale conoscenza e consapevolezza ho della sua cultura? Quali pensieri e sentimenti emergono da me su di lei?
- Quali potrebbero essere i miei punti ciechi e pregiudizi?
Un Counsellor culturalmente competente dovrebbe avere conoscenza e consapevolezza di: credenze, pratiche e valori culturali correlati alla salute di popolazioni diverse; incidenza e prevalenza di malattie e diagnosi tra popolazioni culturalmente ed etnicamente diverse; dati sull’efficacia del trattamento (se presenti) di popolazioni culturalmente ed etnicamente diverse. Un Counsellor che opera con umiltà culturale dovrebbe ascoltare con interesse e curiosità, essere consapevole dei propri possibili pregiudizi e tentare una posizione non giudicante su ciò che sente, e riconoscere il proprio status intrinseco di privilegio come professionista ed essere disposto a farsi insegnare dai propri pazienti. Sostenere il valore dell’umiltà culturale e della competenza culturale, in grado di promuovere l’equità sanitaria e migliorare l’accesso alle cure.
Innescare un atteggiamento culturalmente umile ci aiuta a non giudicare l’altro e la sua appartenenza culturale come inferiore. Primariamente perché la diversità è sinonimo di non conformità a una norma che è di fatto basata su criteri soggettivi che si modificano da individuo a individuo, da comunità a comunità, da cultura a cultura, da Paese a Paese e così via. Inoltre, la maggior parte delle volte, in un individuo si intersecano e convivono più identità culturali.
Ecco a questo punto è bene sottolineare di essere cauti nell’approcciarsi alla diversità culturale per evitare di focalizzarsi solamente sulla conoscenza di una cultura e sulle sue differenze perché può rappresentare una prospettiva fortemente limitante sia per la relazione Counsellor-cliente sia per il percorso, portando a convinzioni standardizzate, rigide e statiche, alimentando così la dicotomia noi-loro. A questo si predilige una prospettiva più orientata e aperta all’osservazione dell’individuo e della sua identità culturale in quanto tale e non come un insieme di preconcetti e caratteristiche predefinite. È un orientamento multiculturale, in una prospettiva di massima apertura all’altro, verso un maggiore rispetto e senza atteggiamenti o manifestazioni di superiorità. Come descrivono Tervalon e Murray-García, si tratta di un concetto multidimensionale e dinamico a tre dimensioni: l’individuo, la relazione e il sistema.
- Individuo –processo continuo di autoriflessione, autocritica e apprendimento.
- Relazione – nel riconoscere i propri status e gli squilibri nella diade utente-professionista e la loro diretta influenza sulla relazione stessa;
- Sistema – il contesto specifico è molto spesso differente e il contesto stesso è inoltre soggetto alle influenze di un sistema esterno (istituzioni, decisioni politiche, storia etc.).
Hook e colleghi parlano anche della Cultural Humility come di un orientamento che racchiude uno sguardo sia intrapersonale sia interpersonale. Per intrapersonale intendono il profondo lavoro di scoperta personale che i Counsellor sono chiamati a mettere in atto, nello specifico sono sempre quei nodi da indagare: bias, punti di forza, limiti, aree di crescita, credenze, valori, attitudini e convinzioni. Si tratta di un processo non facile, ma di vitale importanza dove la profonda conoscenza e consapevolezza del sé diventa centrale per rispondere alle esigenze del momento. Per interpersonale fanno riferimento al modo di stare con l’altro, che dovrebbe essere aperto e curioso alle credenze e valori culturali dell’altro, piuttosto che presuntuoso o arrogante. È un processo orientato all’ascolto, al riconoscimento e all’accoglienza dell’altro e della sua diversità culturale. Si basa sullo sviluppo dell’umiltà e della flessibilità attraverso il costante lavoro di autoriflessione, autocritica e autoconsapevolezza.
Perché umiltà?
Umiltà sotto l’aspetto etimologico deriva dal latino da humus che significa terra, ed è un nesso con la terra, una potenza primitiva che non si può trattare con arroganza e superiorità. Il significato di umiltà sulla Treccani è: «sentimento e conseguente comportamento improntato alla consapevolezza dei propri limiti e al distacco da ogni forma di orgoglio e sicurezza eccessivi di sé».
Uno degli assunti fondamentali di questo approccio è la presa di consapevolezza dei propri limiti e il riconoscimento che è impossibile sapere tutto. Si tratta di un cambiamento nella modalità di approccio alla conoscenza attraverso una costante messa in dubbio delle proprie convinzioni e sicurezze nei confronti di un paziente e della sua appartenenza culturale. Significa indagare e riflettere sui propri limiti e bias, riconoscendoli e adoperandosi per superarli al fine di garantire all’altro il massimo rispetto e riconoscimento della sua identità promuovendo un atteggiamento di massima apertura nei confronti dell’altro. È un processo che richiede grande coraggio e onestà.
La relazione Counsellor-cliente, medico-paziente, terapeuta-paziente, musicoterapeuta-utente etc… risulta naturalmente sbilanciata, ponendo automaticamente il professionista in una posizione di potere e forza nei confronti del cliente/paziente/utente. Ciò potrebbe portare, nel professionista, alla messa in atto consapevole o inconsapevole di atteggiamenti di superiorità nei confronti del paziente, minando lo sviluppo di una relazione terapeutica funzionale e causando per esempio delle difficoltà nella comunicazione di determinate esigenze e/o bisogni percepiti o far emergere sentimenti di inferiorità e/o inadeguatezza anche discriminanti. Questo diventa evidente a contatto con la diversità culturale; in questi casi, è fondamentale che il professionista sia preparato a identificare e bilanciare questi squilibri esistenti durante la pratica. Ecco perché è importante cercare di contrastare questa dinamica di diseguaglianza ponendo il paziente e/o l’utente sullo stesso piano, riequilibrando così la dinamica relazionale.
Sempre Tervalon e Murray-García (1998) affermano inoltre che l’umiltà in questa fase è un prerequisito centrale, perché richiede al professionista di cedere il ruolo di esperto al paziente, diventato lui stesso studente del paziente, all’interno di una relazione di mutuo interscambio. In quest’ottica quindi, il paziente diventerebbe parte attiva dell’alleanza terapeutica.
In conclusione, la Cultural Humility offre quindi una prospettiva diversa attraverso cui osservare la relazione Counsellor/cliente promuovendo un approccio maggiormente orientato verso l’altro e la sua diversità. È un vero e proprio processo vitale di apprendimento verso un continuo e costante lavoro di introspezione e autoriflessione finalizzato al raggiungimento di una maggiore autoconsapevolezza. Hays dice: «humility helps me to avoid judging difference as inferior».
Articolo a cura del Dott. Marco Lolli – Psicologo | Counsellor | Musicoterapeuta | Presidente della scuola G.Ri.Fo Counselling